Può capitare che persone che hanno iniziato a meditare da poco sperimentino effetti negativi passeggeri.
Sono esperienze note da sempre nella cultura buddista e zen, che li considera fasi da attraversare per progredire nella conoscenza di se stessi. Le cose cambiano ora che i protocolli Mindfulness Based, nati da queste pratiche, sono usati per trattare problemi psichici come ansia, depressione, stress in contesti clinici occidentali. I ricercatori si chiedono giustamente quale sia l’incidenza degli effetti collaterali e se siano legati ad un tipo di meditazione piuttosto che a un altro.
Effetti negativi della meditazione
Da almeno cinquant’anni si sa che che in alcune persone la pratica meditativa può favorire la comparsa temporanea di problemi psichici e fisiologici, come: disturbi della concentrazione, dell’umore, della memoria, ipersensibilità alla luce, insonnia, riduzione dell’appetito o allucinazioni. È anche noto che le persone con problemi psichiatrici non dovrebbero meditare perché i loro sintomi potrebbero peggiorare.
L’incidenza di eventuali effetti negativi della meditazione non è ancora chiara perché ci sono stati ancora pochi studi, e hanno coinvolto soprattutto persone con esperienze negative dichiarate.
Secondo uno studio del 2017 sembra che:
- Siano più colpite le persone che meditano per più di 20 minuti.
- E quelle che meditano da sole, rispetto a chi partecipa a ritiri o meditazioni di gruppo.
- Ci siano possibili effetti indesiderati solo per chi pratica le meditazioni concentrative.
Sembra infatti che i disturbi siano correlati alla lunghezza e alla frequenza della pratica. Le sessioni di mindfulness sono solitamente più brevi, più lontane nel tempo e meno intense e probabilmente per questo non ci sono quasi evidenze di effetti collaterali.
Circa il 25% dei partecipanti ha raccontato di aver provato esperienze spiacevoli legate alla meditazione, transitorie nel 39% dei casi. Ma la maggior parte di loro ha continuato comunque a meditare e non ha avuto bisogno di assistenza medica.
Secondo uno studio del 2019 è più probabile che la meditazione abbia conseguenze fastidiose per:
- chi soffre di pensieri negativi ricorrenti
- chi pratica meditazioni concentrative
- gli uomini
- i non credenti
Secondo il prof. Antonino Raffone, “Solitamente sono problemi latenti, che vengono portati alla luce dalla meditazione e che probabilmente sarebbero emersi anche da soli”.
E in ogni caso, gli insegnanti di meditazione competenti sanno riconoscerli e possono indirizzare i praticanti verso percorsi di psicoterapia, se necessari.
Ma perché meditare può contribuire alla comparsa di questi sintomi?
Secondo Raffone, le neuroscienze spiegano che:
“Un cammino di meditazione serio determina la riorganizzazione dei network cerebrali, rendendoli più capaci di funzionare in modo adattivo, donando resilienza emotiva e flessibilità cognitiva. Durante questo processo però si attraversa una fase di instabilità dei network, che potrebbe spiegare le sintomatologie emerse dallo studio”.
Insomma, mentre le nostre connessioni cerebrali si riorganizzano siamo più vulnerabili. Ma nella maggior parte dei casi è una fase passeggera, che vale la pena di attraversare per godere dei benefici della pratica. La meditazione è ginnastica per il cervello. Così come l’attività sportiva spezza le fibre muscolari per ricostruirle in modo più funzionale, la meditazione cancella collegamenti neuronali obsoleti e ne crea altri più utili. Con qualche disagio momentaneo per lavori in corso.
Non facciamone una scusa per non meditare.
Quel che succede più spesso è che abbiamo paura di restare soli con noi stessi. Così riempiamo di impegni anche il tempo libero e quando arriva la tristezza corriamo a berci una birra o svuotiamo un vasetto di nutella. Poi quando ci mettiamo per la prima volta a meditare e finalmente ci concediamo il silenzio, ecco che i pensieri negativi saltano fuori da sotto il tappeto e ci assediano.
Di solito è segno che della meditazione abbiamo bisogno.